Ars Naturalis
Ovunque siamo sul nostro pianeta, lontani dalle città e con gli occhi puntati all’orizzonte, può capitarci un giorno di cedere ad un gioco dell’immaginazione e di scoprire una realtà trasfigurata: le schiene verdi di lontane colline ci ricordano figure umane distese; ritroviamo un viso, draghi e cavalieri nella mutevole forma delle nubi sfilacciate dal vento; persino le rocce laviche plasmate dal fuoco e dalla pioggia possono ricordarci statue e figure create dall’uomo.
La scienza ci dice che gli atomi del nostro corpo non sono nati qui, sul nostro pianeta, ma sono stati forgiati nel crogiolo nucleare di lontane generazioni di stelle. Miliardi e miliardi di anni sono passati dalla prima scintilla che ha visto nascere la materia, perfezionando atomi e molecole nel deserto silenzioso dello spazio. La Via Lattea piena di astri si è accesa innumerevoli volte di fuochi cosmici di stelle morte, che hanno preparato l’eredità chimica di un pianeta che doveva generare gli esseri umani. Questi, alla fine, sono fatti della stessa sostanza delle stelle.
Di tanti miliardi d’anni e di tanti eventi doveva pur restare un ricordo nel sottile gioco della nostra mente, forse una labile memoria di questa discendenza cosmica che ci accomuna con il mondo inanimato. Così umano e non umano s’incontrano ad un certo punto della vita e questo riconosce in quello un aspetto di sé dove non crederebbe mai di trovarlo,
negli alberi, nelle montagne o nelle nuvole.
Una pittura che voglia dare questo cosmico senso d’appartenenza degli esseri umani alla Natura, un’Ars Naturalis, deve rappresentare non solo la forma d’ogni singolo modello umano, ma anche la sua sostanza, dura come roccia o mutevole come nuvola. Tutto diventa parte di una metamorfosi continua nella Natura, non di tanti cicli interrotti d’inizio e fine, senza relazione tra loro. Nell’opera pittorica sogno e realtà devono fronteggiarsi in un sottile strato di colore, spesso pochi micron ma che ha volume al nostro occhio e che può avere la stessa profondità di uno spazio aperto, pieno di nuvole o di stelle.
Ecco quindi l’infinito scorrere del tempo, sempre uguale a se stesso, rappresentato in un pendolo oscillante di fronte all’Universo stellato, ecco emergere dalle nuvole una figura, forse roccia, forse essere umano. Ossa e muscoli s’intrecciano in figure umane trasformate in piante come un fitto gioco di rami e radici. Nei quadri, come nel mito greco, Andromeda indifesa sulla riva del mare aspetta sempre il suo cavaliere, ma il mostro marino, cavallo e cavaliere stesso sono diventati roccia, erosa da secoli d’acqua e vento.
Tutto questo è un gioco della mente che è patrimonio di tutti, fissato sulla tela affinché possa essere trasmesso ad altri e sopravviva ai labili engrammi del nostro cervello.
G. Galletta